Giornata del malato

2 marzo 2025

Aiuto all’auto-aiuto


La Giornata del Malato 2025 si concentrerà sul tema dell’auto-aiuto attraverso il sostegno reciproco, con l’intento di incoraggiare le persone colpite da malattia, infortunio o disabilità – così come i loro familiari – a condividere le proprie esperienze e difficoltà.

Lo scambio tra pari rappresenta una risorsa straordinaria, in cui la sofferenza individuale può trasformarsi in un’esperienza preziosa per gli altri. Mettere a disposizione ciò che si è imparato lungo un percorso di malattia o cura consente di creare una rete di supporto umano e solidale, capace di offrire non solo conforto, ma anche strumenti concreti per affrontare le sfide quotidiane.

Questa giornata vuole essere un momento di riflessione collettiva sull’importanza della comunità e della condivisione. Nella condivisione non ci sono solo parole di conforto, ma anche la possibilità di crescere insieme, di costruire percorsi di consapevolezza e resilienza, di apprendere da chi ha già vissuto esperienze simili.

L’aiuto reciproco non è solo un atto di generosità, ma una via per dare significato alle difficoltà, trasformandole in opportunità di crescita personale e collettiva. È una modalità per affrontare insieme un cammino che spesso può essere lungo e complesso, ma che, con il giusto sostegno, diventa più affrontabile.


Questo è il messaggio che vogliamo trasmettere nella Giornata del Malato del 2 marzo 2025: celebrare la forza della solidarietà, il valore dell’empatia e l’importanza dell’«aiuto all’auto-aiuto», un approccio che trasforma ogni gesto di supporto reciproco in una risorsa per affrontare le sfide più difficili insieme.

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Il potere dell’aiuto all'auto-aiuto: l’esperienza di Emanuele Bertoli

Sono nato con una malattia genetica progressiva, la retinite pigmentosa, che con il passare del tempo rende la retina di ambo gli occhi sempre meno sensibile e porta piano piano alla cecità.

I miei genitori capirono che qualcosa non andasse con la mia vista già da piccolo, all’età di tre anni, ma fino all’inizio dell’adolescenza la mia vita è stata quasi del tutto normale, ad eccezione della necessità di evitare le occasioni con poca luce.

La diagnosi era chiara già da bambino, prima o poi non avrei più potuto vedere, ma nessuno sapeva quando e con che progressività questo sarebbe accaduto.

I miei genitori hanno sempre insistito affinché frequentassi la scuola ordinaria, cosa che ho fatto con successo, anche grazie a piccoli accorgimenti e qualche attenzione da parte dei docenti.

Mio padre si preoccupava molto per il mio futuro; da un lato ogni tanto proponeva qualche visita presso qualche nuovo specialista, per cercare di capire se davvero non ci fosse qualcosa da fare per arrestare la mia malattia, dall’altro mi incoraggiava a studiare anche la musica, con l’idea recondita di poter usare questa competenza qualora fossi diventato cieco. Il giro dei medici è terminato quando a un certo punto, durante l’adolescenza, gli ho detto che era tempo di mettersi il cuore in pace, di accettare la realtà delle cose, mentre della possibilità di studiare diversi strumenti musicali non l’ho mai ringraziato abbastanza, perché è una passione che da allora non mi ha mai abbandonato.

Durante l’adolescenza non ho potuto fare alcune cose che facevano i miei coetanei, ma ho scelto altre attività e tipologie di relazioni perfettamente compatibili anche con il mio problema alla vista. Determinante è stato l’incontro con Comunità familiare, un’associazione che organizzava colonie estive e fine settimana durante tutto l’anno per l’accompagnamento nel tempo libero di persone con handicap, un’attività che mi ha permesso di incontrare molti ragazzi e ragazze della mia età con cui condividere anni indimenticabili e amicizie e relazioni molto forti.

Dal profilo formativo dopo la scuola dell’obbligo ho scelto di frequentare la Scuola magistrale, che preparava i docenti di scuola elementare e al contempo dava un titolo che permetteva di iscriversi all’università. Alla fine della scuola ho iniziato a candidarmi per qualche posto di docente, ma l’allora medico cantonale ha bloccato la mia candidatura in ragione della diagnosi infausta inerente alla mia vista. Dopo una procedura che ha coinvolto l’Assicurazione invalidità (AI), ho quindi deciso di andare all’Università di Ginevra e di studiare legge, frequenza che l’AI avrebbe sostenuto finanziariamente. È stato quindi grazie al nostro sistema sociale che sono arrivato ad ottenere una licenza in diritto.

Gli anni universitari sono stati bellissimi ma difficili, perché è stato in quel periodo che la vista ha cominciato a calare rapidamente. Facevo sempre più fatica a leggere, dovevo leggere moltissimo e non c’erano ancora tutti i mezzi ausiliari d’oggi (stiamo parlando degli anni ’80 del secolo scorso). Ma con le fotocopie ingrandite, le registrazioni su audiocassetta dei riassunti dei libri da studiare, l’arrivo dei primi macrolettori e tanta pazienza alla fine l’obiettivo è stato centrato.

Tornato in Ticino dall’università e ormai impossibilitato a leggere, ho iniziato nel 1987 a lavorare per l’Associazione inquilini, come consulente per la zona del Mendrisiotto e come segretario cantonale e unico giurista dell’organizzazione. Assieme a persone molto determinate e capaci abbiamo sviluppato l’associazione in anni di fuoco per i rapporti tra inquilini e proprietari, caratterizzati da molti aumenti di pigione (i tassi ipotecari salivano alle stelle) e da vere e proprie ondate di disdette dei contratti. Per fortuna è in quegli anni che cominciano a diventare disponibili i primi computer parlanti e i primi scanner, strumenti indispensabili per me per poter lavorare autonomamente e per poter svolgere tutte le altre attività.

Tra esse anche la politica. È infatti in quegli anni che mi avvicino all’attività politica istituzionale, prima subentrando nel Consiglio comunale del mio Comune (1988), poi essendo eletto in Municipio (1996) e poi subentrando nel Gran Consiglio ticinese (1998). La politica è sempre stata una grande passione, sostenuta anche dagli studi in diritto e dalla ricerca di fondo della giustizia.

Nel 2002, dopo 15 anni, ho lasciato l’Associazione inquilini per assumere la direzione di Unitas, l’associazione delle persone cieche e ipovedenti della Svizzera italiana, ed in questa veste ho sperimentato direttamente il grande valore dell’autoaiuto e della necessità di favorire l’incontro tra persone che condividono un problema e mettono in comune le loro esperienze.

Nel 2004 sono stato nominato presidente cantonale del mio partito, sempre nel 2004 mi sono sposato ed è nato il mio primo figlio, mentre nel 2008 è arrivata per la strada dell’adozione la mia seconda figlia.

Nel 2011, dopo dodici anni di Gran Consiglio e quasi al termine del mio mandato da presidente di partito, mi candido per il Consiglio di Stato e vengo eletto. Mi viene affidato il Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport e così, per ironia del destino, divento il capo del Dipartimento che trent’anni prima non aveva potuto assumermi come insegnante.

In dodici anni ho promosso diverse riforme inerenti alla scuola, avendo sempre al centro il benessere e le opportunità degli allievi, l’abbandono di schemi ormai obsoleti e il mantenimento di un’istituzione aperta al cambiamento. Le discussioni politiche sono state molte, anche appassionate e controverse, ma tante cose sono andate nella giusta direzione, anche se non così rapidamente e fino a dove io avrei voluto.

Pure la cultura ha avuto diritto ad attenzioni particolari, innanzitutto con l’adozione di una legge sul suo sostegno che precedentemente non c’era, ma anche al forte sostegno pubblico messo a punto durante il difficile periodo della pandemia, dove questo mondo si è bloccato per un periodo molto prolungato.

In quasi trent’anni di attività politica non ho mai avuto la sensazione che il mio problema alla vista fosse determinante. Mi ha anzi obbligato a intervenire senza poter leggere testi preparati in precedenza, un’abitudine che mi ha sempre portato a dover conoscere bene i temi sui quali prendere posizione.

In questo percorso di attività autonoma l’autoaiuto ha avuto un ruolo rilevante, perché mi ha permesso di relativizzare una serie di problemi pratici, mi ha permesso di contare su una rete di sostegno e scambio, ha ridotto la cecità da questione fondamentale ad uno dei diversi aspetti che hanno caratterizzato la mia vita, e forse nemmeno il più importante.

tagderkranken.ch - Manuele Bertoli (PDF)

Benvenuti

Nel 1939 la Dott.ssa Martha Nicati, specialista in malattie polmonari, ebbe la magnifica idea di proporre una “GIORNATA DEL MALATO” scegliendo la prima domenica di marzo quale data per la sua ricorrenza. Organizzata a Leysin dal 1939, la manifestazione viene riconosciuta nel 1943 in tutta la Svizzera. Da allora, la giornata viene celebrata annualmente promuovendo buoni rapporti tra i malati e persone sane, favorendo la comprensione per i loro bisogni e riconoscendo l’attività di tutti coloro che si impegnano professionalmente o volontariamente a favore dei pazienti.

Nella Svizzera italiana la «Giornata del Malato» viene organizzata ogni anno dall’AGMSI - Associazione Giornate del Malato della Svizzera Italiana, offrendo ad ogni edizione la possibilità di approfondire un tema particolare legato alla salute e al benessere dei malati.

Testimonial

2025 Manuele Bertoli
Manuele Bertoli
2024 Padre Michele Ravetta
Padre Michele Ravetta
2023 Morena Pedruzzi
Morena Pedruzzi
2020 Tanja Losa
Tanja Losa
2019 Yvonne Petrini
Yvonne Petrini
2018 André Suter
André Suter
2017 Christian Broggi
Christian Broggi

AGMSI

Associazione giornate del malato della Svizzera Italiana

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